venerdì 20 giugno 2008
- Due grandi giornalisti dicono la loro
Da "Il venerdì" del 20 giugno 2008:
"La pericolosa illusione che unisce masse e potenti.
Su una cosa sono tutti d'accordo (...) aumentare la produzione, per aumentare i consumi, per aumentare la redistribuzione. I petrolieri alla Cheney e alla Bush, gli oligarchi russi e i nuovi mandarini cinesi, si presentano, e magari si pensano, come filantropi intenti al benessere dell'umanità.
Capitalisti e comunisti sono fermi nelle stesse illusioni, nelle stesse propagande: la libera concorrenza, miracolosa come il consumismo di massa, la scienza irresponsabile solutrice di tutti i problemi, la crescita demografica possibile all'infinito, la democrazia totale, one man one vote (un uomo un voto), come la migliore. (...)
Ogni uomo dotato di raziocinio ha capito da un pezzo che di questo passo si va all'autodistruzione della specie, ma l'umanità di massa continua ciecamente ad ignorarlo. Il mondo è piccolo e superaffollato, ed ecco circolare le leggende, i nuovi miti consolatori, che sotto le calotte ghiacciate dei poli ci sono riserve inesauribili di fonti energetiche e di cibo, petrolio e gas per tutti, pesci e ostriche per i miliardi di affamati.
Non è di illusioni che ha bisogno la specie umana, ma di ragione e di buon governo. (...)
Il mondo libero ha deriso per anni la società comunista che toglieva agli uomini la libertà e li costringeva alla fame per produrre armi. Ma ora anche il nostro modo dissennato di produrre e di distribuire sta venendo alla resa dei conti, e se nessuno è così stolto da riproporre le soluzioni feroci e dispotiche del comunismo, è chiaro che (...) il pensiero politico ed economico deve confrontarsi su questi temi, invece di discutere sui miracoli del libero mercato e sulle migrazioni spaziali, proprio ora che le nostre sonde nell'universo dimostrano che per i secoli a venire la migrazione sarà fuori dalla nostra portata.
Non ci spaventa solo l'estrema difficoltà della sopravvivenza, ma il ritardo nel pensarla, la voglia di ignorarla."
Giorgio Bocca
Da "Il venerdì" del 20 giugno 2008:
"Inchieste: le regole inglesi e le (non) regole italiane.
Quando ero giornalista in Inghilterra (...) dovevamo osservare regole severissime. Dal momento in cui un magistrato apriva un procedimento su un cittadino era tassativamente vietato pubblicare sull'argomento notizie o indiscrezioni, salvo quelle diramate, ufficialmente, dal magistrato stesso. (...) (ndr: più o meno la stessa cosa avviene in Svizzera).
Silenzio di tomba fino al momento in cui il magistrato inviava il cittadino a giudizio. E anche allora era vietato pubblicare alcunché sull'intera vicenda, tranne il resoconto nudo e crudo delle pubbliche udienze. Pena il carcere (per il giornalista).
Differenza abissale, come si vede, da quel che succede in Italia (...) (dove) si distrugge prima del processo, crudelmente, la reputazione di un individuo: che certe volte lo merita, altre no.
E allora verrebbe istintivo rispondere: bisognerebbe applicare anche in Italia regole tassative, come in Inghilterra. Non dire nulla, fino al processo, su un cittadino che sia sotto inchiesta.
Ma allora nasce un altro problema. Le inchieste giudiziarie in Italia sono lunghissime (...) se dunque si applicassero regole simili a quelle inglesi, tanti episodi di malcostume, per esempio i traffici di bustarelle intascate da uomini politici, continuerebbero indisturbati per mesi e anni. (...)
Conclusione: in Italia è inevitabile commettere un'ingiustizia. Con la libertà di pubblicazione oggi vigente (...) si fa un processo a mezzo stampa. Con l'adozione delle regole inglesi, le persone colpevoli di malcostume la farebbero franca fino all'apertura di un regolare processo.
Chiedo scusa se, dopo queste osservazioni, vi sembro anglofilo.
Piero Ottone
(ndr: E' possibile adottare le regole inglesi senza una vera riforma dei processi e senza garantire ai magistrati una assoluta indipendenza dai politici, come del resto recita la Costituzione)?)
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