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lunedì 15 settembre 2008

- una lettera di Margherita Hack sul Lodo Alfano (censurata)

Questo testo è stato inviato alla rivista Micromega dalla nota astronoma Margherita Hack: "lo scorso luglio ho mandato una lettera aperta a Napolitano a Corriere, Stampa, Repubblica, Unità e Piccolo di Trieste. Che io sappia nessuno l’ha pubblicata. Lettera aperta al Presidente Napolitano Caro Presidente, ho sempre avuto grande stima per Lei e per la sua lunga militanza democratica. Perciò non capisco come abbia potuto firmare a tambur battente una legge indegna di un paese democratico come il lodo Alfano. Lei dice che la sua firma è stata meditata, e forse intendeva dire che lo considerava il male minore. Ma io, e come me molti italiani che hanno ancora la capacità di indignarsi di fronte alle violazioni della Costituzione da parte di una destra arrogante, non capiscono come sia possibile varare una legge apertamente incostituzionale. La Costituzione afferma che tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, e quindi anche senza essere giuristi, non si capisce come quattro cittadini siano più eguali degli altri (e migliaia meno eguali, come i clandestini, che, se delinquono subiscono un aggravio di condanna). Scandalizza l’impudenza di Berlusconi, che appena varata la legge esclama: finalmente libero dalla persecuzione della magistratura. Non si configura in questa frase un oltraggio alla magistratura? Per quanto ne so, Lei aveva trenta giorni di tempo per firmare, poi avrebbe potuto rimandare alle camere la legge per sospetta incostituzionalità, e solo dopo il secondo riesame avrebbe dovuto comunque firmarla. Io credo che per amor di pace non si debba essere troppo acquiescenti con una destra antidemocratica. E’ già successo una volta, ottantasei anni fa." Margherita Hack (8 settembre 2008)

domenica 14 settembre 2008

- Il genio della Giustizia Angelino Alfano

I detenuti in Italia sono quasi 60.000 e le carceri ne possono contenere al massimo 45.000. Ora noi abbiamo un ministro della giustizia (delle carceri?) che è un vero genio. Ecco cosa ha proposto il giureconsulto di scuola agrigentina per risolvere il problema delle carceri (l’indulto di Mastella, votato due anni fa da una parte del centro-sinistra e da una parte del centro-destra, che pretese che fosse di tre anni per risolvere il problema Previti... non è evidentemente servito a nulla): 1) Mettiamo il bracciale elettronico ad un certo numero di detenuti, diciamo un 7.400. 2) Espelliamo i detenuti stranieri. Bene: 1) il bracciale elettronico era stato sperimentato da un altro genio della giustizia, il leghista Castelli, tra il 2003 e il 2005 (400 braccialetti per il costo di 11 milioni di euro...), ma la sperimentazione naufragò. Perché la centralina che conferma la presenza del detenuto in casa salta quando viene spolverata o sfiorata da un bambino o se il detenuto si immerge in una vasca da bagno o se scende in cantina. Le forze di Polizia non ne hanno voluto più sapere di quell'aggeggio. Se poi il ministro invece di sperimentarlo su 400 volesse mettere in atto questo geniale provvedimento per 7-8.000, come ha promesso, la spesa salirebbe almeno a mezzo miliardo di euro (c’è chi dice 3 miliardi, ma forse è una previsione eccessiva). Un’idea senza né capo né coda. Bene: 2) vediamo l’espulsione dei “delinquenti” stranieri. Se si usa il foglio di via, uno passa la frontiera oggi e ritorna domani, altrimenti bisogna “accompagnarlo” al suo paese e per questo bisogna trovare i soldi per pagare il biglietto a migliaia di persone. Ma non solo il biglietto, anche il costo della sua eventuale prigionia nel paese d’origine. A parte il messaggio che si dà in questo modo (se delinqui ti mando via, mentre i delinquenti italiani li punisco e li metto in prigione...) cosa risolverebbe l’iniziativa del nostro ministro? Toglierebbe un 4-5.000 persone da carceri che sono sovraffollate di 15.000 unità (e le previsioni, ma queste sono scientifiche, dicono che il sovraffollamento aumenterà di altre 15-20.000 unità entro i prossimi due anni). Trovate informazioni più dettagliate a questo indirizzo: http://voglioscendere.ilcannocchiale.it/print/2016103.html Ma chi è questo giovane siciliano divenuto ministro tra la sorpresa generale e noto per il famoso Loda (pardon, Lodo) Alfano che ha reso intoccabile il presidente del Consiglio e le altre maggiori cariche dello Stato? Nel febbraio del 2002 un video (acquisito dalla Procura di Palermo) girato alla festa di nozze della figlia del capomafia di Palma di Montechiaro, Croce Napoli, mostrava il giovane deputato nazionale di Forza Italia, Angelino Alfano, baciare il capomafia. Di fronte a questa esperienza, Silvio si è dovuto inchinare e nominare subito Angelino ministro. Chi meglio di lui può combattere la mafia ? (fonte: http://ilpopolosovrano.splinder.com/post/18116218/Parliamo+di%3A+Angelino+Alfano ) Vincenzo Masotti

lunedì 8 settembre 2008

- Fini, il fascismo e il governo Berlusconi

di Raniero La Valle Era uno scandalo che il ministro della difesa, celebrando la resistenza romana dinnanzi al presidente della Repubblica, avesse ripreso il tema dell’equivalenza tra antifascisti e repubblichini di Salò, i quali avrebbero combattuto anch’essi credendo di difendere la patria. Uno scandalo perché se il ministro della difesa non sa distinguere tra vera e falsa difesa della patria, quale patria oggi sarebbe pronto a difendere? Altrettanto inquietante era stata la rivalutazione del fascismo, a parte gli ebrei, fatta dal sindaco di Roma. Se per giudicare un regime nefasto si distingue tra male assoluto e relativo, riservando la condanna al solo male assoluto, allora nessun regime potrebbe essere condannato, perché il male assoluto, grazie a Dio, non esiste, quando perfino ad Auschwitz, come ci ha mostrato Roberto Benigni, si può dire che “la vita è bella”, se può fiorirvi l’amore anche di uno solo. Dopo il fermo rimprovero del Presidente Napolitano, in difesa della Costituzione, Gianfranco Fini è corso ai ripari, rivendicando i valori dell’antifascismo, che dovrebbero essere fatti propri anche dalla destra; anzi è proprio perché non c’è stata una destra in grado di riconoscersi nei valori antifascisti, secondo Fini, che “libertà, uguaglianza e giustizia sociale”, che sono i fondamentali postulati costituzionali, hanno avuto vita difficile in Italia. Tutto bene allora? Certamente è bene che a rivendicare le radici antifasciste della Repubblica, sia proprio il leader di quella destra che del fascismo si era presentata come erede. Ma al di là della disputa storica sulla periodizzazione del fascismo, e dell’opportunismo politico che può aver ispirato la presa di posizione di Fini, resta il fatto che la questione del fascismo è ancora aperta in Italia, ed è proprio la destra a rendere legittima una interpretazione della politica italiana in termini di fascismo o antifascismo. È una constatazione importante, perché finora tutti i tentativi di denunciare come fascismo le linee maestre dell’azione politica di Berlusconi, o il razzismo della Lega, e l’allarme sul pericolo fascista insito nelle riforme delle leggi elettorali e della stessa Costituzione, sono stati bollati come ideologici e insostenibili, con l’argomento che la storia non si ripete e in nessun caso in Italia potrebbe riprodursi una sciagura come quella fascista. Invece potrebbe ripetersi, ed è proprio la destra di governo a risuscitarne il fantasma. Certo il fascismo non tornerebbe con le camicie nere e l’olio di ricino (oggi si usano le spranghe), ma al di là delle forme, c’è un contenuto profondo del fascismo, un classismo ontologico, un’antropologia della disuguaglianza, una concezione esclusivista del potere, un primato della forza e, non ultimo, un culto del denaro, che fanno del fascismo un archetipo politico che sottende e può esplodere in qualsiasi società. L’antidoto è la cultura, l’informazione, l’educazione a uno spirito non gregario, la dignità della critica, la pace con i vicini e la pace con i lontani; ed è per questo che il fascismo arriva con la denigrazione della cultura, con la lotta contro la scuola, con la omologazione mediatica dei cittadini, con l’esaltazione della capacità comunicativa come capacità di governo, con la costruzione del nemico, con l’appello alla paura. L’esperienza storica è che il fascismo si prepara molto tempo prima che si impadronisca del potere, quando ancora non si immagina che la strada imboccata porti a quell’esito. Per questo i costituenti presero le loro precauzioni, vollero una Costituzione non “afascista”, ma antifascista; dove l’antifascismo non stava nelle norme transitorie e nel divieto della ricostituzione del partito fascista, e nemmeno nell’affermazione puramente formale delle libertà. Esso stava invece nel disegno e nella concezione stessa dello Stato; e si può dire che il discrimine fosse proprio nell’articolo 3 della Costituzione, laddove si attribuisce alla Repubblica un compito a cui lei sola è obbligata: quello di operare in positivo per rompere i condizionamenti economico-sociali che ostacolano o impediscono la libertà, l’eguaglianza, lo sviluppo personale dei cittadini e la loro effettiva partecipazione all’organizzazione del Paese. Da qui discendono due concezioni dello Stato. Se l’ideale è uno Stato minimo, più mercato e meno Stato, uno Stato senza soldi, meno tasse per tutti, quei compiti non li potrà assolvere. Ancora peggio, se uno Stato che ha bisogno del gettito fiscale per la scuola pubblica, per la giustizia, per la sicurezza, per lo sviluppo del Sud, per gli investimenti strutturali, e magari anche per l’Alitalia, per i treni, per i beni culturali, viene accusato di “mettere le mani in tasca agli italiani”, è chiaro che non potrà creare le condizioni di una convivenza giusta e pacifica, e non gli rimarrà che spendere i soldi che gli restano per la repressione e per le carceri. Ma è appunto da qui che nasce il fascismo, ed è qui che la politica stessa è fascismo. L'articolo uscirà sul prossimo numero del quindicinale di Assisi, "Rocca"

domenica 7 settembre 2008